STUPEFACENTI: SPROPORZIONATA LA PENA MINIMA DI OTTO ANNI DI RECLUSIONE


È sproporzionata la pena minima di otto anni prevista per i reati non lievi in materia di
stupefacenti. Lo ha stabilito la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 40 depositata l’8 Marzo 2019
(relatrice Marta Cartabia), ha dichiarato illegittimo l’articolo 73, primo comma, del Testo unico
sugli stupefacenti (d.P.R. n. 309 del 1990) là dove prevede come pena minima edittale la
reclusione di otto anni invece che di sei. Rimane inalterata la misura massima della pena, fissata
dal legislatore in venti anni di reclusione, applicabile ai fatti più gravi.
In particolare, la Corte ha rilevato che la differenza di ben quattro anni tra il minimo di pena
previsto per la fattispecie ordinaria (otto anni) e il massimo della pena stabilito per quella di lieve
entità (quattro anni) costituisce un’anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di
eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione), oltre che con il
principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 della Costituzione).
La rimodulazione da otto a sei anni del minimo edittale per i fatti non lievi è stata ricavata dalla
normativa in materia di stupefacenti. Questa misura, infatti, è stata ripetutamente considerata
adeguata dal legislatore per i fatti “di confine”, posti al margine delle due categorie di reati.
La dichiarazione di incostituzionalità arriva dopo che la Corte, con la sentenza n. 179 del 2017
aveva invitato in modo pressante il legislatore a risanare la frattura che separa le pene per i fatti
lievi e per i fatti non lievi, previste, rispettivamente, dai commi 5 e 1 dell’articolo 73 del d.P.R.
309 del 1990. Quell’invito è rimasto però inascoltato sicché la Corte ha ritenuto ormai
indifferibile il proprio intervento per correggere l’irragionevole sproporzione, più volte
segnalata dai giudici di merito e di legittimità.
La soluzione sanzionatoria adottata non costituisce un’opzione costituzionalmente obbligata e
quindi rimane possibile un diverso apprezzamento da parte del legislatore, nel rispetto del
principio di proporzionalità.